Delitti e misteri nella valle alpina dove la paura è una benedizione
Marco Ostoni, Corriere della sera
Colori e musica, natura e storia, leggenda e realtà, sangue e morte. E intorno, ad aleggiare come sciami gracchianti d'uccelli neri su un cielo freddo d'ardesia, la paura. Sono questi gli elementi con i quali Matteo Strukul ha scelto di costruire il suo primo horror, I sette corvi: un esordio nel genere dopo i suoi molti e fortunati romanzi storici (su tutti la saga bestseller I Medici che gli ha portato in dote anche un premio Bancarella), che è appena approdato in libreria per Newton Compton editori. Strukul non ha perso il salutare vizio di documentarsi e scavare nel passato per scrivere questa storia nera, che incolla il lettore alla pagina anche grazie all'incalzante ritmo di una scrittura paratattica, scabra e diretta. Non c'è solo la fantasia, infatti, dietro la vicenda che vede per protagonisti, a Rauch, uno sperduto paesino di montagna del Bellunese incastonato in un'immaginaria val Ghiaccia spazzata dalle bufere di neve, la giovane e bella ispettrice Zoe Tormen, l'impeccabile e impettito medico legale Alvise Stella, i giovanissimi e inquieti Marco e Lu, la mamma di Marco, Anna, disillusa dall'amore, e l'anziana, misteriosa conduttrice dell'unica locanda del posto, Rauna. Tutti alle prese con una scia di delitti terribili, che lasciano le vittime con le orbite prive degli occhi e i corpi straziati da migliaia di lacerazioni. L'autore ha infatti ricostruito, seppur in luoghi dai nomi di fantasia, un tempo e uno spazio ben precisi, ovvero i primi anni Novanta del secolo scorso e le montagne tra Veneto e Friuli; ha studiato a fondo caratteristiche e comportamenti dei corvi imperiali, gli uccelli che danno il titolo al libro e il nome alla locanda; si è documentato sulle auto da rally per descrivere pregi e difetti della Lancia Delta (una fiammeggiante Martini 5) guidata dall'ispettrice di polizia appassionata di corse; ha scovato un'antica vicenda di stregoneria per dare sostanza alle leggende che si narrano a Rauch. E ha infine dato sfogo alle sue passioni musicali e letterarie, allestendo un'ideale colonna sonora all'insegna del rock grunge ascoltato da Marco e Zoe (dai Cranberries ai Nirvana, passando per i Cure, gli Hole, gli Stone Tempie Pilots e gli Alice in Chains), un genere, citiamo dal libro, che era «un fiotto di sangue elettrico: brani primordiali, sporchi, aspri, suoni di chitarra talmente dritti e tesi da somigliare a quelli di una motosega. Nichilisti. Un sound primitivo per un ritorno al nulla rimasto, dopo che le precedenti generazioni avevano spolpato il pianeta». Un sound, possiamo aggiungere noi, pienamente calzante alle vicende e alle atmosfere narrate nel romanzo.
23/02/2025